.

Ritorna al sito

La fondazione della Confraternita

E' difficile stabilire con precisione a chi debba risalire la volontà di fondare a Molfetta una confraternita della Morte poichè, secondo quanto afferma Ph. Ariès, "gli uomini caritatevoli, fra il Tre ed il Seicento, feriti dall'abbandono in cui erano lasciati i poveri morti, in una società già relativamente urbanizzata, hanno cercato di rimediare a ciò che sembrava loro l'effetto più crudele di tale abbandono, cioè la mancanza di soccorso da parte della Chiesa: non sopportavano che gli annegati, i sinistrati anonimi, fossero così lasciati tra i rifiuti come le bestie, i giustiziati o gli scomunicati. Si organizzarono dunque in confraternite per assicurare loro una sepoltura in terra consacrata, con le preghiere della Chiesa, senz'essere peraltro turbati dall'anonimato delle sepolture di carità che diventerà invece insopportabile due secoli più tardi". Che sia stato invece mons. Bovio ad ispirare l'associazione dei laici per assolvere specificamente questo compito? Certo è che il Vescovo già il 22 novembre 1613 testimoniò formalmente all'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orazione e Morte il suo consenso e beneplacito nei confronti della confraternita "piorum hominum", eretta nella chiesa di S. Francesco nel suburbio di Molfetta, sotto il titolo di "Confraternita della Morte".
Uno Stato delle confraternite di Molfetta secondo la loro precedenza, non datato, ma ritrovato fra le carte della Curia Vescovile dell' anno 1838 nell'Archivio Diocesano, pone al 26 aprile 1613 la fondazione della confraternita; così anche SALVEMINI, P. II, p. 112.
Egli stesso postulò l'aggregazione all'Arciconfraternita romana e di essa i confratelli adottarono il sacco "nigri coloris et imagine mortis super humero sinistro"; loro scopo precipuo era la sepoltura dei poveri.
.
Il collegio degli officiali era composto dal priore, da due visitatori, da un cassiere (banco) e dal cancelliere, mentre il numero dei confratelli era di trentotto. Quanto alle prime regole sappiamo solo che mons. Bovio dispose, come per le altra confraternite, l'espulsione dei soci assenti per tre volte ingiustificatamente nell'assolvimento degli obblighi e che i confratelli dovevano anche impegnarsi nella cerca delle elemosine.
.
Nei primi mesi della propria vita, probabilmente sotto lo stimolo di mons. Bovio, la confraternita iniziò la procedura necessaria ad ottenere l'aggregazione presso l'Arciconfraternita di S. Maria dell'Orazione e Morte di Roma. L'atto dell'aggregazione, favorito dalla curia romana con varie concessioni alla fine del sec. XVI, permetteva alle confraternite affiliate di godere delle indulgenze e dei benefici spirituali propri delle arciconfraternite romane. L'incontro tra queste confraternite aggregate, di cui quella romana era "capo e madre", comportava l'espansione delle forme devozionali presenti a Roma. La vitalità delle confraternite romane di questo periodo, faceva dell'incontro, non un momento frenante, bensì un motivo di grossa innovazione. La preminenza della confraternita romana si realizzava in molti modi: con l'aggiunta del "titolo" della romana a quello che precedentemente si aveva, e soprattutto con la pratica dei nuovi impegni caritativi, devozionali e culturali che venivano recepiti dall'esperienza di quella romana. I confratelli molfettesi inviarono, dunque, all'Arciconfraternita madre la richiesta di aggregazione, accompagnata dalla lettera commendatizia di mons. Bovio e la confraternita venne aggregata dall' arciconfraternita romana nella congregazione segreta del 28 gennaio 1614.
.
Un altro documento del 15 gennaio 1614 testimonia quanto rapidamente si sia sviluppata l'organizzazione della confraternita. In quella data il priore presentò una richiesta a mons. Bovio perchè concedesse alla confraternita il passaggio dalla sede originaria alla chiesa "destructa" di S. Maria del Principe, ottenuta "imprestito" dalle monache di S. Pietro. La richiesta era dovuta al fatto che "essi fratelli si hanno pigliato principal carico di sepelire li morti poveri, il che hanno fin hora fatto con ogni purità trattendosi nella Chiesa di S. Francesco, dove non havendo luogo comodo di esercitarsi in alcuni esercizi spirituali, come per inspiratione di Dio sono resoluti fare per l' avvenire hanno ottenuto imprestito dalle Reverende monache di S. Pietro una lor Chiesa destructa per nome S. Maria del Principe". Mons. Bovio volle udire il parere dei frati di S. Francesco, ma essi non si presentarono dal vescovo ritenendo di non avere alcuna competenza in proposito, pur non opponendosi al trasferimento della confraternita. Pertanto mons. Bovio permise il trasferimento e la confraternita dovette iniziare la ricostruzione della chiesa che tornò a funzionare, divenendo il sepolcro dei poveri già nel 1621 come si legge sull' architrave dell' ingresso.
.
Per quest'opera, tanto degna di ammirazione agli occhi dei contemporanei, la confraternita della Morte meritò di essere sempre espressamente citata in documenti ufficiali tanto importanti per la vita della diocesi quali furono gli atti dei sinodi celebrati nel 1654, durante l'episcopato di mons. Pinelli, e nel 1673, con mons. Loffredi. Il capitolo 29 dei rispettivi atti dispone le forme e i modi della celebrazione dei funerali e delle sepolture che si sarebbero dovuti osservare in tutta la diocesi. Le norme emanate da mons. Pinelli - dalle quali non si discostano quelle di mons. Loffredi - trattano anche delle sepolture dei poveri, alle quali avrebbero dovuto provvedere gratis e per carità il Capitolo della Cattedrale oppure la confraternita della Morte, anche i pellegrini e i forestieri sarebbero stati sepolti nella Cattedrale:
"Pauperum aliorumque Miserabilium Cadavera, ne inhumane inhumata remaneant, si eis impensae non suppetunt, a Capitulo nostrae Cathedralis ad quod defuncti cura pertinet si accersitum fuerit eorum funera curentur, et propria charitate gratis quo ad omnia cum debitis luminibus sepeliantur, vel potius per confraternitatem Mortis ad pium hoc opus exequendum in hac Civitate iam dudum erectam sedulo, ut quotidie assolet, peragatur. Peregrinorum et Advenarum Cadavera, ni sepulturam sibi elegerint, in Cathedrali ecclesia tamquam in Parochia accedente Capituli consensu sepellire mandamus".
.
- Testo tratto dai Quaderni dell' Archivio Diocesano di Molfetta
- "La Confraternita della Morte di Molfetta nei secoli XVII - XVIII"
- di don L. M. de Palma, Edizioni Mezzina Molfetta, Aprile 1984.
N.B. - Tutte le foto provengono dall' archivio privato del dott. Franco Stanzione ed è vietato riprodurle senza il suo consenso e/o omettendo di citarne la fonte.

Ritorna al sito

Visualizzazioni totali